Brigata Maiella logo

Associazione Nazionale "Brigata Maiella"

MEDAGLIA D'ORO AL Valor Militare

Sezione SULMONA - VALLE PELIGNA

Sede Nazionale: via Viaggi,4 Chieti  -  Sito autonomamente gestito dalla Sez. di Sulmona-Valle Peligna


IL CASTIGATORE DI PIAZZA GARIBALDI (già Piazza Maggiore) Sulmona PDF Stampa E-mail

L’inverno trascorso tra il 1943 e il 1944 fu un inverno freddissimo, le abbondanti nevicate contribuirono a mettere a dura prova la vita delle nostre popolazioni, in conseguenza del fatto che la nostra città veniva a trovarsi nelle immediate retrovie del fronte di guerra denominato Linea Gustav per cui fu sede di grande movimento di truppe germaniche Si può facilmente immaginare il disagio e le difficoltà che questo comportò alla vita della nostra popolazione. Cito questi casi perché molto spesso mi torna in mente un episodio di strano comportamento da parte di un certo ufficiale del disciolto Esercito Italiano conosciuto come il Tenente P. ufficiale del Battaglione Lanciafiamme di stanza a Sulmona, rimasto a Sulmona, non si sa bene, dove e come. Lui con la neve e con il ghiaccio la mattina era a fianco del fontanone di Piazza Garibaldi.

 

Una mattina mentre transitavo nelle vicinanze della piazza mi fermò un amico che mi disse: «Stai attento in piazza c’è il tenente P.»; l’amico aveva già notato che indossavo una camicia e un paio di scarpe militari. Feci appena in tempo a cambiare strada altrimenti sarei tornato a casa a piedi nudi e senza camicia.
L’8 settembre ’43, appena fu comunicata la notizia dell’armistizio, i soldati abbandonarono le caserme che rimasero incustodite e la popolazione insorse, spalancò le porte e cercò di prendere qualsiasi cosa utile da portare a casa, con grande rapidità, prima che lo facessero i soldati tedeschi. Infatti, il 10 settembre, l’arrivo dei tedeschi trovò le caserme vuote e letteralmente saccheggiate, però ebbero cura di spaccare le poche armi rimaste prima che queste finissero in mano ai partigiani. In ogni famiglia vi erano indumenti militari che costituivano un prodotto di prima qualità, molto idonei per affrontare i rigori dell’inverno.
Ecco che il nostro tenente si era imposto il compito di restituire all’esercito Italiano (ma, in questo caso, all’esercito tedesco) tutto quello che era stato sottratto, senza pensare minimamente alle sofferenze della popolazione. Spogliava letteralmente tutti, bambini e anziani, tutti quelli che gli venivano a tiro, senza alcuna compassione per quelli che rimandava a casa a piedi nudi con la neve o con il ghiaccio. Per lui era cosa da nulla, ma sentite ora quello che sto per raccontarvi! Di com’è grande la giustizia della vita e la grandezza della fede di Gesù Cristo che tutti sentiamo quando andiamo in chiesa. Più ci torno con il pensiero e più mi convinco che i nostri avi regolavano la vita con i proverbi: “Male non fare paura non avere” oppure, diceva sempre mio padre, “Nella vita solo le montagne non s’incontrano ma gli uomini si” e ora so di certo che la natura regola tutte le cose vitali e i loro proverbi provenivano da grandi esperienze di vita.
Passò l’inverno 43/44 tra bombardamenti, mitragliamenti e rastrellamenti da parte dell’esercito tedesco per prendere uomini, validi e non, da adibire a lavori militari a ridosso del fronte di guerra e per ricercare i giovani di leva che non si erano presentati alla chiamata germanica subito dopo l’8 settembre, per essere arruolati e conglobati nell’esercito nazi-fascista quindi “DISERTORI”. Io facevo parte dei disertori.
Fra le tante peripezie, sarebbe troppo lungo raccontarle tutte, arrivò il 10 Giugno (i tedeschi avevano abbandonato Sulmona il giorno prima), giornata di pieno sole dal mattino. Nel pomeriggio si sparse velocemente la voce che stavano per entrare a Sulmona le truppe inglesi, scendendo da Cansano.
In quattro o cinque ragazzi, adesso non ricordo chi erano gli altri, armi a tracolla ci avviammo per la strada del cimitero per andargli incontro e quando fummo a metà del cimitero ecco un gruppo di persone che marciavano verso di noi. Chi erano questi soldati inglesi? Quattro cinque giovani come noi armati di tutto punto, malvestiti in abiti civili capeggiati da un soldato australiano, con un grande cappello da Far-West, su di un cavallo bianco; erano ragazzi della Banda Patrioti della Maiella, come segno di riconoscimento avevano solo un nastrino tricolore. Quale fu la nostra meraviglia, non lo posso descrivere, erano patrioti, così demmo loro tutte le notizie riguardo ai tedeschi che avevano lasciato la città la sera prima e parlando di notizie militari ci unimmo a loro per entrare a Sulmona da Porta Napoli. In prossimità dell’Acquedotto Medioevale, una grande folla ci aspettava per salutare l’esercito liberatore e anche loro restarono un poco delusi al primo momento, ma poi la folla si unì a noi e proseguì fino ai Portici di Caroselli (Bar Europa) dove le autorità cittadine in attesa salutarono con gioia il drappello liberatore.
I giorni che seguirono videro il concentramento di tutti gli elementi della Banda patrioti della Maiella che furono alloggiati nell’edificio delle scuole Magistrali per riorganizzarsi e aspettare gli incarichi dell’esercito alleato.
Durante la settimana che seguì la liberazione, a noi ragazzi, circa una decina, furono assegnati dei compiti di ordine pubblico e così, il 18 giugno, in seguito a nostra richiesta, una quarantina circa fummo arruolati regolarmente ed entrammo a far parte della Banda.
La Banda si riorganizzò a Sulmona contando il numero di circa trecento volontari, e forte di questa consistenza espresse al comando alleato la volontà comune di combattere al loro fianco per contribuire a cacciare dall’Italia i tedeschi che intanto si ritiravano dall’Abruzzo. La richiesta fu accettata e (20 giugno) un giorno, non precisato, arrivarono i camion alleati, caricarono tutta la Banda per trasferirla a ridosso dell’esercito tedesco. Prima tappa all’Aquila (21 giugno), seconda ad Amatrice (22 giugno), terza ad Accumoli (23 giugno) in provincia di Rieti: eravamo ormai a ridosso dell’esercito tedesco.



L’indomani (24 giugno) il Comando della Banda chiese al nostro plotone 4 volontari per andare a esplorare l’abitato di Illica, frazione di Accumoli, 300 abitanti circa, posta a mezza costa della montagna, così come è messa, più o meno, Roccacasale, per verificare e riferire se era tenuta ancora dai tedeschi o no. Rispondemmo all’appello io, Tonino Pacella, Tonino Del Monte ed Enzo Di Berardo.Partenza di buon’ora (25 giugno) armati di tutto punto, una piccola colazione e via, c’incamminammo per gli anfratti e piccoli sentieri da capra. Dopo quasi due ore di marcia ci fermammo una ventina di minuti, per fare il punto della situazione ed anche per riposarci un po’. Ripreso il cammino, ormai in vista delle prime case, guardinghi cominciammo a sentire rumori e dei suoni di banda. Pensando alla ritirata dei tedeschi, insospettiti ci infilammo nei primi vicoli e nascondendoci dietro ogni angolo di casa pian piano arrivammo in una delle prime strade del paese e con grande meraviglia scoprimmo che si trattava di una processione preceduta da una piccola banda musicale. Rincuorati, ci avvicinammo alla gente chiedendo le prime notizie che cercavamo. La frazione era libera e la gente festeggiava Sant’Antonio per l’avvenuta liberazione. Intanto giunse la processione, la statua era portata a spalle da quattro donne perché la maggior parte degli uomini erano ancora nascosti in montagna e gli anziani e ragazzini avevano organizzato la festa. Tirammo un sospiro di sollievo. Ma eravamo ragazzi anche noi, per giunta tre di noi si chiamavano Antonio, così dopo una veloce consultazione decidemmo di prendere noi a spalla la statua e alla nostra richiesta le quattro donne ne furono liete ed anche il prete della parrocchia ne fu contento, fu così che proseguimmo la processione per tutte le stradine del centro abitato della frazione fino alla chiesa dove rientrammo la statua di Sant’Antonio.



Depositata la statua, ci fu una ressa di persone intorno a noi, tutti a fare domande “chi siete? Perché vi trovate qui?” noi spiegammo loro tutta la storia e questi, entusiasti, fecero a gara per invitarci a pranzo, così fu che ci dividemmo, ospitati in quattro case diverse, non prima di fissarci un appuntamento alle quattordici nella piazzetta del paese per poi rientrare tutti e quattro ad Accumoli.
All’ora prestabilita, trovammo nella piazzetta Enzo Di Bernardo, arrivato prima di noi e in piedi su una sedia, parlava ai paesani della guerra che ormai per loro era finita e che tutti quelli che possedevano armi in casa, dovevano consegnarle a noi. Nel giro di mezz’ora ci furono portate armi di tutti i tipi, vecchie e nuove, munizioni e baionette, fucili, moschetti ecc. Sorse subito il problema come portarle a valle, allora chiedemmo dei volontari che subito si attivarono nel mettere tutto dentro dei sacchi di iuta e ci seguirono per consegnare tutto al nostro comando. Quando fummo ad Accumoli, ci trovammo di fronte ad una sorpresa: La Banda Patrioti della Maiella non c’era più, gli alleati l’avevano caricata su dei camion per altra destinazione. Pensammo di consegnare tutto alla caserma dei carabinieri ai quali chiedemmo se avessero notizie della Banda, ma loro risposero di no, nessuna notizia ci fu data anche perché la caserma era in funzioni ridottissime, restavano solo alcuni volontari. Loro presero in consegna le armi senza alcun pregiudizio. Congedati i paesani di Illica, che tornarono alla loro case, restammo seduti su di un muretto a cercare una soluzione prima di tutto come e dove passare la notte e poi sapere dove e come raggiungere la Banda. A questo punto mi venne di fare una breve riflessione ad alta voce, “E mo che facciamo? Se non ci fossimo fatti intenerire da quella processione saremmo rientrati in orario”. A questa esclamazione Tonino Del Monte soggiunge “A vedere quelle quattro donne con quel peso della statua sulle spalle era doveroso farlo noi”. L’iniziativa trovò quindi una plausibile giustificazione.
Mentre parlavamo di queste cose, vedemmo venire verso di noi un contadino che concitato ci chiese se potevamo dargli una mano perché gli era caduto l’asino nella cisterna del vino; di corsa andammo nella stalla del contadino che si trovava lì vicino, l’asino nel rientrare nella stalla, aveva messo le zampe anteriori sul coperchio della botola della cisterna che forse perché era vecchio, si sfondò e fece precipitare l’asino, con tutta la parte anteriore, nella cisterna. Quando arrivammo noi aveva solo le zampe posteriori fuori dalla botola così tutti e cinque, chi tirava dalla coda chi dalle zampe, non fu facile estrarlo da quella posizione, però alla fine lo tirammo fuori. Il contadino non sapeva come ricompensarci, ma noi avevamo il problema come passare la notte e come mangiare qualche cosa. Lui capì subito la situazione e si adoperò. Di lì a poco tornò con quattro coperte ed un pezzo di pane e ci disse: ”Vedete quel fabbricato rustico, è un magazzino per la stagionatura del formaggio, questa notte potete dormire lì, ho parlato con il proprietario mio amico, potete mangiare tutto il formaggio che volete”; non parliamo dei topi che abitavano nel magazzino!!!.
L’indomani mattina (26 giugno) ecco arrivare il proprietario, sapeva tutto, si fermò a parlare un po’ con noi e nel congedarci ci regalò un formaggio a testa del peso di circa due chilogrammi.
Intanto decidemmo di incamminarci alla ricerca della Banda. L’unica strada da prendere per Ascoli Piceno, distante 38 km circa. Strada facendo pensavamo di chiedere notizie a qualcuno, ma dov’era la gente? Intanto al peso di armi e zaino che si faceva sentire, si era aggiunto anche quello del formaggio che bisognava portare in mano per evitare che si appiccicasse con le robe dentro lo zaino, quindi costituiva un sacrificio portarselo dietro.
Strada facendo sbucò da un viottolo una contadina, con un cesto in testa, alla quale chiedemmo tutte le notizie che ci riguardavano con risultato del tutto negativo. Ci liberammo di un formaggio che accettò con molto piacere, e così camminando di buon passo verso le 9 giungemmo ad Arquata del Tronto. Breve sosta per colazione e poi di nuovo in marcia.
Non passava anima viva. Erano quasi le undici quando un rombo di motore ci giunse alle spalle, ci voltammo, era un camioncino di quelli con il pianale scoperto e appena ci giunse vicino lo fermammo per sapere notizie dei nostri ma la risposta fu negativa. Poiché il cassone era libero da cose, chiedemmo al proprietario di prenderci su e accettò subito precisando che il suo percorso non arrivava ad Ascoli Piceno ma deviava qualche km prima; fu una manna. Quando si fermò a 5 km da Ascoli, gli regalammo due dei nostri formaggi e ne fu talmente contento che non finiva mai di ringraziarci.


Verso mezzogiorno giungemmo ad Ascoli, la città era stata liberata il giorno prima dai nostri bersaglieri ma della Banda della Maiella nessuna notizia. Qualcuno ci disse di andare in comune dove si era insediato il comando del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), ci presentammo e ci facemmo riconoscere esibendo i nostri tesserini di appartenenza alla Banda. Chiedemmo loro del nostro gruppo ma anche loro non furono in grado di darci notizie.
Intanto la fame si faceva sentire, chiedemmo loro come potevamo fare per mangiare, così il capo ci diede dei buoni pasto da consumare presso una trattoria di Ascoli Piceno.
Eravamo seduti ad un tavolo della trattoria quando il caso mise davanti a noi l’epilogo di questo racconto che se uno l’avesse voluto orchestrare non sarebbe riuscito con tale precisione.
Dunque, era seduto davanti a noi, un signore diciamo sui 45 anni, anno più anno meno, il volto non era proprio in vista perché aveva un giornale in mano che leggeva. Ad un tratto Tonino Pacella si alzò per sollecitare il pranzo e passando accanto a questo signore ne scorse i lineamenti; tornato presso di noi, disse: “Guardate quel signore vedete se lo riconoscete”. Ognuno di noi cercò la posizione giusta per guardarlo in viso. A me, lì per lì, non ricordò niente il suo viso, poi i suoi lineamenti mi tornarono nella memoria. Sì, era proprio lui. Dopo breve consultazione decidemmo di chiedergli se era il tenente P. cosa che lui negò, allora gli chiedemmo un documento di riconoscimento, rispose di non averli con sé, li aveva lasciati a casa. Decidemmo di frugargli le tasche, li aveva con sé e come, era lui, proprio lui, tenente P. ufficiale dell’esercito italiano residente ad Ascoli Piceno.
Ci facemmo accompagnare a casa sua, non era molto distante dalla trattoria; nell’armadio di casa aveva le armi e tre divise militari, una da ufficiale Italiano, una da fascista e una da ufficiale tedesco e ciò fu più che sufficiente per convincerci a fermarlo per la sua triplice attività. Sicuramente una scelta del tutto personale, e così lo invitammo a mettere il tutto in un sacco e farsene carico personale e accompagnammo questo signore al Comune di Ascoli per consegnarlo al C.L.N.. Rilasciammo regolare denuncia circostanziata dei fatti, sottoscritta da tutti e quattro noi, con allegata copia dei nostri tesserini di riconoscimento di appartenenza alla Banda Patrioti della Maiella. Lasciammo così le cose in loro mani che accettarono con dovizia d’intenti.
Noi restammo convinti con somma meraviglia di aver assolto un nostro compito di Patrioti ma ora ci restava da sapere notizie del nostro distaccamento da raggiungere, così chiedendo in giro riuscimmo a sapere che era stato trasferito dagli alleati a Montefortino (26 giugno) località marchigiana a circa 35 km da Ascoli (Arquata 25 giugno, Amandola Montefortino 26 giugno da Maiella Eroica di G.D. Rosatone).
Era ormai tardo pomeriggio quando ci mettemmo in marcia su quella direzione, un po’ a piedi, un po’ con mezzi di fortuna come capitò. Era quasi mezzanotte quando finalmente raggiungemmo il nostro distaccamento a Montefortino provincia di Fermo.

Antonio Bonitatibus

 


Powered by Joomla!.