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PER LE VIE DEL MONDO PDF Stampa E-mail

Ho avuto modo di vedere l’esposizione in anteprima e di questo ringrazio gli organizzatori e curatori, cui rivolgo i miei complimenti per il lavoro svolto in maniera originale, dal momento che  stiamo parlando di un tema, quello dell’emigrazione, spesso celebrato in iniziative di questo tipo.

La mostra foto-documentale senza mai cadere nella banalità, infatti, non si limita a raccontare la storia dei nostri nonni che armati di valigia di cartone prendevano la via del mare ma  ripercorre la storia del fenomeno dell’emigrazione da e verso il nostro Paese in chiave comparata, ponendolo a confronto con le dinamiche migratorie attuali.

 

Così le necessità di ieriscarsaproduttività del Paese, fame, mortalità precoce e disperazioneche spingevano i cittadini del neonato Stato Italiano ad emigrare, diventano, oggi, la mancanza di prospettive lavorative, i drammi esistenziali e la depressione di generazioni che non riescono a costruirsi un futuro in uno Stato, sopraffatto dal disagio sociale e dalla crisi.

L’emigrazione viene così considerata come una valvola di sfogo e una promessa di felicità che attraeva alla fine dell’800, nel corso del 900, così come attrae oggi.

Essa era però anche il grande “inganno” di cui parlava nel secolo scorso Barzini, inviato in Argentina del Corriere della sera, il quale denunciava certe manovre messe in atto dai responsabili dell’immigrazione argentini per adescare migranti attraverso la stampa di guide turistiche che promettevano agli stranieri la possibilità di vivere nel Paese sudamericano una vita agiata. Una vita che spesso si rivelava essere, una volta giunti a destinazione, di miseria e sfruttamento nelle campagne o in strada. Un po’ quello che succede alle migranti odierne, che pagano migliaia di euro in prospettiva di una vita decorosa in Italia e appena giunte vengono avviate alla prostituzione.

 

A rimetterci quando si parla di emigrazione sono sempre i più deboli: i poveri che salivano sulle navi “stringendo fra le labbra il biglietto e una sedia pieghevole mentre i ricchi portavano sotto il braccio cappelliere e cagnolini” descritti da Edmondo De Amicis, cui era stata commissionata dalla Casa Editrice Trèves la stesura di una guida turistica sull’Argentina e che si ritrovò, invece, a scrivere dell’epopea triste di persone ammassate sulle navi, simili a deportati. Le stesse persone che sarebbero morte  nelle tragedie navali del Sirio e dell’Andrea Doria, ai familiari delle quali per risarcimento sarebbe stato dato come rimborso un biglietto per l’America. 

I nostri migranti vennero inviati in miniera a Marcinelle come manodopera in cambio di quantitativi di carbone necessari alla ricostruzione dell'Italia nel secondo dopoguerra e trovarono la morte a causa dell’imperizia di un opeaio. Ad Auzat in Spagna furono impiegati nei lavori di un cantiere su una montagna a 1600m di altezza. Morirono perché le baracche in cui vivevano, collocate nelle vicinanze del cantiere per risparmiare sui tempi e costi di eventuali trasporti sul posto di lavoro, furono travolte da una slavina. Gli emigranti lavoravano in condizioni di sicurezza inesistenti, come gli operai di oggi, la morte dei quali è una notizia costante dei nostri telegiornali. Com’è notizia costante un altro fenomeno che s’intreccia a quello dell’emigrazione: il razzismo, che viene affrontato in questa esposizione. La storia è piena di episodi di razzismo ed intolleranza ai danni degli stranieri. La spedizione punitiva di Rosarno del 2010 nei confronti di immigrati impiegati nell’agricoltura è il sanguinoso scontro della cittadina francese di Aigues-Mortes del 1839, in cui persero la vita, per mano dei francesi, molti operai italiani, rei di aver loro “rubato” il lavoro nelle saline. Ed è anche l’attuale campagna pubblicitaria di un partito politico svizzero che pone alla base della criminalità e del degrado la presenza di lavoratori italiani e romeni nel Paese. 

E’ una storia che si ripete e che si accartoccia su se stessa eppure, con la stessa agghiacciante facilità, cade nel dimenticatoio. 

E’ la storia degli sbarchi dei disperati ad Ellis Island, nella baia di New York, dove venivano smistati i migranti prima di poter entrare negli Stati Uniti che si ripete oggi a Lampedusa, quando i migranti riescono ad arrivare.

Questa mostra ci lascia diversi spunti di riflessione e ci fa ronzare in testa due interrogativi.

Il primo interrogativo:

-          Andare o restare? Questo è il problema. Abbandonare il Paese che amiamo, dove se si vuole lavorare si arriva al paradosso di dover omettere di aver conseguito una Laurea o tentare la fortuna altrove, in un altro posto, dove si potrebbe incontrare l’ostilità altrui?

 E il secondo interrogativo:

-          Daremo mai a noi stessi e agli altri la possibilità di considerarci “cittadini del mondo appartenenti alla razza umana” o resteremo sempre schiavi di categorie di pensiero e nazionalità che ci portano a vestire, ora i panni delle vittime ora quelli dei carnefici?

Su questo percorso si dipanano le immagini.

                                             Alba Liberatore

 


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