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C.A. CIAMPI: Un grande abruzzese di adozione PDF Stampa E-mail

Carlo Azeglio Ciampi non c’è più.

Aveva  novantasei anni. Livornese, è stato abruzzese di adozione. I mesi trascorsi a Scanno dopo l’armistizio dell’8 settembre ‘43, l’ospitalità che trovò fra la gente d’Abruzzo hanno lasciato un’impronta  molto profonda nella sua anima.

Il Presidente più amato dagli italiani, insieme a Pertini, lo ricordava  spesso. Non c’è un suo libro o una sua conversazione sulla guerra in cui non ricordi la generosità e la lealtà degli abruzzesi. Dopo oltre settant’anni da quei terribili giorni la sua riconoscenza  è rimasta intatta.

 

La dedica del suo libro  “La libertà delle minoranze religiose”, Il Mulino, 2009, è  una dichiarazione d’amore alla sua patria che gli ha dato i natali e a quella che lo ha accolto: «Al mare di Livorno, di cui sono figlio. Alle montagne d’Abruzzo, che mi hanno adottato». “Adottato”, la parola più forte del nostro vocabolario  per designare l’accoglienza e l’ospitalità. Si adotta, infatti, un figlioCosì si sentì in Abruzzo il giovane sottotenente. La stessa espressione ritorna nel  libro “Da Livorno al Quirinale”, Il Mulino, 2010. Al giornalista Arrigo Levi che gli domandava perché Scanno gli fosse rimasta nel cuore, rispondeva : “ A Scanno sapevano chi eravamo, che io ero un ufficialetto renitente alla leva della Repubblica di Salò; che Sadun [un suo amico di scuola] era un ebreo. Vi erano altri giovani di varie nazionalità, anche slavi. A Scanno ci ospitarono, ci dettero da mangiare, il poco che c’era da mangiare. Ricordo che un giorno camminando per strada, si aprì  una finestra e una vecchietta mi dette un pezzo di pane e un pezzo di salame. Arrivammo a fare letteralmente la fame, perché non c’era più niente. Ad un certo punto mangiavamo le rape che si danno alle pecore, arrostite su una stufa. Ci fu da parte della cittadinanza una lealtà piena nel non denunciarci ai tedeschi, e nel condividere con noi “il pane che non c’era”. Per questo  è rimasto in me un profondo sentimento di riconoscenza per questa popolazione che mi ha adottato”.

E Ciampi ne sottolineava la generosità innata, la inclinazione naturale ad aiutare le persone in pericolo, come i prigionieri alleati usciti dai campi di concentramento.

In quei mesi di sbandamento generale, di caduta di ogni valore e di ogni certezza, nell’assenza di riferimenti istituzionaliil giovane Ciampi   accelerava il processo di maturazione della sua coscienza civile e politica. La sorte lo aiutò, facendogli ritrovare, nel suo rifugio di Scanno, l’antico professore della Normale di Pisa, Guido Calogero, condannatovi al confino perché antifascista. Il filosofo, durante le conversazioni quasi quotidiane, gli insegnò «come il principio cristiano dell’amore verso il prossimo si inverasse nel rispetto pieno, incondizionato, dell’alterità, presupposto di ogni libertà, civile, politica, religiosa». La sua educazione di credente laico e di liberal-democratico si andava così consolidando. Anche nel libro “Non è il paese che sognavo”, Il Saggiatore, 2010,  nel fare un bilancio , fra speranze e delusioni,  con l’editorialista del “Sole 24 ore”, Alberto Orioli, dei 150 anni dell’unità d’Italia, non può fare a meno di riandare al periodo  scannese, che  segnò il tempo della scelta definitiva. Scelta di dignità e di coscienza: renitenza alla leva della Repubblica fascista di Salò, alleata e succube della Germania di Hitler, adesione  agli ideali risorgimentali maturati in famiglia e alla Normale.

L’8 settembre, ribadiva Ciampi, “non fu la morte della Patria  come si è detto a lungo, ma la rinascita della Patria  nel cuore degli italiani”.

Volle raggiungere il suo IX reggimento Autieri a Bari, che aveva ripreso a combattere accanto agli alleati. Il suo Maestro, Calogero, gli aveva affidato anche una missione: portare il suo manoscritto del “Catechismo liberalsocialista del Partito d’Azione” a Tommaso Fiore, per la pubblicazione dalla Laterza.

Dovette valicare la Maiella , il 24 marzo del ’44,  con una trentina di giovani, fra cui molti prigionieri alleati, in piena tormenta di neve. Una delle tante “traversate”, come venivano chiamate, che, guidate da  pastori o da cacciatori, partivano da Sulmona e attraverso il massiccio montuoso raggiungevano le terre liberate del sud. Meno di  due settimane  prima,  un altro gruppo era stato intercettato e mitragliato dai tedeschi e i superstiti erano stati fatti prigionieri. Il gruppo di Ciampi perse per strada alcuni compagni stremati da freddo e fatica. Finalmente,  a Torricella Peligna, deserta e completamente distrutta, furono individuati da un gruppo di gurkha indianimentre  arrivava una pattuglia di volontari italiani, il  primo nucleo della futura Brigata Maiella, che li aveva visti scendere dalla montagna

Su quell’avventura, a suo tempo, Ciampi a scrisse un diario che donò, nel 2001,  in occasione della prima rievocazione di quelle epiche traversate, al liceo scientifico di Sulmona, allora laboratorio di ricerche storiche sulla resistenza. Il diario fu inserito nel libro scritto dallo stesso liceo dal titolo “Il sentiero della libertà”, 2003, Laterza. La prima marcia rievocativa fu solennizzata dall’intervento dello stesso Presidente della Repubblica. Parlò dal palco, in piazza Garibaldi, dando  inizio ad una tradizione che richiama scuole e giovani da tutta l’Italia a ripercorrere il sentiero di tutti coloro che volgevano le spalle al fascismo per costruire un altro domani.

                                                                                              Ezio Pelino

 


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