TROILO ETTORE Stampa

 

 

Riccardo Lombardi ricorda Ettore Troilo

Pochi giorni dopo la morte di Ettore Troilo, Riccardo Lombardi volle commemorarlo con un articolo pubblicato il 21 luglio del ’74 sulla rivista dell’ANPI, “Patria”.                                                                     

 

 

“Ettore Troilo, Un uomo fedele al suo passato”    

Quando nel dicembre dei 1946 Ettore Troilo fu chiamato ad assumere la Prefettura di Milano, egli era conscio della difficoltà del compito, in una situazione davvero paradossale. La crisi di governo difatti si era determinata sulla richiesta liberale e democristiana di liquidare le prefetture politiche sorte alla Liberazione, nonché le procedure di epurazione. La crisi era avvenuta, cioè, sulla linea della “normalizzazione”.

Chiamato, direi francamente obbligato, da Parri che veniva sostituito al Governo da De Gasperi, ad entrare a far parte di quel nuovo governo per esigenze che Parri riteneva ineludibili (contro il mio parere) condizionai la mia partecipazione a che a sostituirmi nella carica di Prefetto di Milano fosse chiamato non un burocrate dell'amministrazione, ma ancora una volta un politico designalo dal Comitato di Liberazione. Esigenza appunto paradossale, date le condizioni in cui la crisi di governo si era prodotta. Tenni duro in una serie di conversazioni e trattative con De Gasperi, il quale, contro tutte le attese, finì per accettare il nostro punto di vista; sì che in una situazione nella quale il fatto più significativo doveva essere l'eliminazione dei Prefetti della Liberazione, avvenne che proprio a Milano, città sotto molti aspetti emblematica, venne ancora una volta nominato un Prefetto partigiano e indicato dagli organismi della Resistenza.

Ettore Troilo fu perfettamente cosciente della estrema difficoltà di adempiere quello che ci si attendeva da lui, nelle condizioni difficili in cui veniva nominato: non interrompere, anzi accentuare il carattere “popolare” del prefetto politico. Non dimentichiamo che una delle esigenze della Resi

 

stenza era stata l'abolizione dell' istituto prefettizio (concordava su questo anche Einaudi) e che la assunzione delle Prefetture, al momento della Liberazione, da parte dei prefetti aveva avuto l'esplicito significato di una radicale trasformazione dei compiti, dei comportamenti e del modo di esercitare il potere rispetto a quelli tradizionali e ciò per preparare appunto l'eliminazione dell' istituto ritenuto giustamente incompatibile con la costituzione autonomistica che si voleva dare al nuovo Stato. 

Troilo adempì splendidamente al suo compito, ricordandosi che al momento della sua assunzione il suo predecessore aveva dichiarato, mettendo in grave imbarazzo il governo militare alleato, che egli avrebbe risposto politicamente non a quest'ultimo, ma al C.L.N.A.I., da cui considerava derivassero i suoi poteri. Troilo impresse all'esercizio quotidiano della sua carica lo stesso indirizzo, rispettoso nelle forme e fermissimo nella sostanza, mantenendo ed accentuando quella che era ormai divenuta una consuetudine della Prefettura di Milano, di essere terreno di incontro e di elaborazione amministrativa e politica aperto all'accesso e alla libera manifestazione degli organismi popolari nei quali si andava articolando la nuova vita democratica della città e della provincia. Da che cosa derivava Troilo questa sua fermezza? La sua personalità si era non dico formata, ma certo completata e consolidata nel durissimo compito di capo partigiano e di capo partigiano che aveva esercitato il comando in condizioni eccezionali, ben diverse e sotto alcuni aspetti anche più difficili di quelle in cui i comandanti partigiani del Nord erano stati chiamati ad operare.

 Egli non trovò, al momento dell'armistizio, in Abruzzo, la situazione di vasto fermento popolare che aveva caratterizzato altre zone dei paese e specialmente tutta la parte da Roma in su ; doveva agire si può dire se non nel vuoto, certo in una atmosfera in cui le iniziative non potevano essere suggerite da alcuno, o imposte dall'ambiente. Fu una scelta in certo modo e con tutti i limiti del termine “solitaria”. Ad una massa raccogliticcia e scarsissimamente, se non niente affatto, politicizzata che si raccolse intorno a lui, egli riuscì a dare un obiettivo politico, una coscienza del fine del combattimento e poi, utilizzando anche la sua esperienza di combattente della prima guerra mondiale, anche una organizzazione militare eccezionale.

Credo di non scostarmi dalla verità affermando che la divisione Maiella, che Troilo organizzò e comandò come formazione militare organizzata, non cioè soltanto come “banda” o “complesso di bande” ma con una articolazione organica, con comandi effettivi, fu una eccezione nel Sud d'Italia. Di quella Divisione egli fu insieme comandante e commissario politico e solo chi ha avuto esperienza delle difficoltà della organizzazione della guerriglia può comprendere anche oggi quali doti eccezionali un tale compito richiedesse, per non degenerare nello apoliticismo. Questa impresa valse alla Divisione Maiella l'onore e l'onere di potere, venuto il momento, essere inquadrata nelle forze armate regolari organizzate dal Governo del Sud e di combattere, e combattere bene, a fianco delle divisioni alleate, anche in questa difficile situazione conservando un notevole grado di autonomia, per cui, pur nell'inquadramento regolare, fu sempre e restò Divisione Partigiana.

Come prefetto di Milano era chiaro a tutti e anche a Troilo che la situazione eccezionale determinatasi con la sua nomina non sarebbe durata: il compito da assolvere era chiaramente transitorio e soprattutto di testimonianza. Venne abbastanza presto, dopo circa due anni, il momento della verità per tutti. La singolarità di una Prefettura politica e resistenziale a Milano quando tutte le altre venivano liquidate non poteva evidentemente durare nel clima che preparava il 18 aprile e che cercava di liquidare la Resistenza in nome, come disse Piero Calamandrei, della “Desistenza”. L'importante, tuttavia, non era impedire o invertire un corso di cose in cui si era perdenti, in cui anzi la partita era già stata perduta, a mio giudizio, nel momento in cui Parri era stato costretto a dimettersi senza che molti avessero mostrato di capire il significato non personale ma di svolta sostanziale di quell'evento e senza che si fosse fatto alcunché di serio da parte dei partiti resistenziali di sinistra per far comprendere bene il significato di quell'evento. Ma, al momento in cui venne l'ora della verità e il governo decise di “normalizzare” anche la Prefettura di Milano, si poté constatare la misura di entusiasmo e di iniziativa ancora presenti nel popolo milanese: l'occupazione della Prefettura, l’enorme protesta popolare riuscirono a dare un segno e un avvertimento. Non si poteva certamente vincere, ma si poteva dimostrare, si dimostrò, che le forze, gli ideali della Resistenza erano vivi e presenti e che nessuno mai li avrebbe potuti eliminare: sconfiggere momentaneamente forse sì, ma sradicare, no. Quella battaglia politica fu chiusa come non poteva non chiudersi.

Troilo si comportò come sempre con estrema dignità, assumendosi tutte le responsabilità, anche quelle che personalmente potevano non competergli. Partecipò, pur non essendo, come mai lo era stato, militante partitico, alle elezioni del 1948, senza alcuna aspirazione personale, ma per manifestare la sua scelta politica. 

Da allora si dedicò, schivo e modesto, a ricostruire e documentare la vera grande avventura della sua vita, la storia cioè della Divisione Maiella, a salvarne i documenti e le testimonianze dall'oblio, a farne riconoscere la funzione. Egli è ora scomparso, ancora uno degli uomini della Resistenza che ci lascia. Ma, almeno, al momento della sua dipartita egli è stato certamente confortato dalla grande ripresa di antifascismo militante e per ciò con una ribadita certezza di non avere operato invano”.

 

 

Giuliano Vassalli commemora Ettore Troilo

Giuliano Vassalli, all’epoca Ministro di Grazia e Giustizia, commemorò Ettore Troilo ed Ignazio Silone a L’Aquila il 25 aprile del 1989, in occasione della intitolazione agli stessi di due strade del capoluogo abruzzese

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“Oggi la città dell'Aquila dedica due delle sue strade a due nobili figure di abruzzesi che hanno onorato la Nazione Italiana servendo comuni ideali di redenzione dalla miseria e dall'oppressione, di giustizia e di libertà. Ben a ragione, dunque, è stata scelta per l'odierna inaugurazione la giornata del 25 aprile, in cui tutta l'Italia ricorda da più di quaranta anni la liberazione dell'intero Paese dall'oppressione nazifascista, la fine di una guerra sanguinosa, l'avvio del Paese alla rinascita delle istituzioni democratiche e ad un progresso economico e civile nella libertà. Come ho detto all'inizio, la umana vicenda di Silone e di Troilo è profondamente diversa, ma la matrice ideale è comune; e comune l'amore profondo e tenace per la propria gente d'Abruzzo.

Il punto culminante della gloriosa vicenda umana di Ettore Troilo è dato dalla organizzazione e dal comando della Brigata Maiella, la prima, importante formazione partigiana dell'Italia centro meridionale, l'unica che combatté ininterrottamente, percorrendo l'intera Penisola da sud a nord, durante tutti i mesi dell'occupazione nazista.

Val la pena   se me lo permettete   di leggere ancora una volta la motivazione della Medaglia d'oro al valor militare, che efficacemente ne riassume la storia.

"In quindici mesi di asperrima lotta sostenuta con ogni mezzo contro l'invasore tedesco con penuria di ogni mezzo ma con magnifica esuberanza dì entusiasmo e di fede, sorretti soltanto da uno sconfinato amore di patria, i Patrioti della Maiella, Volontari della libertà, affrontando sempre soverchianti forze nemiche, hanno scritto per la storia della risorgente Italia una pagina di superbo eroismo. Esempio a tutti di alto spirito di sacrificio, essi, manipolo di valorosi, nulla chiedendo se non il privilegio del combattimento, hanno dato per primi largo e generoso contributo di sangue per il riscatto dell'onore e della libertà d'Italia. Da Civitella a Selva, a Pizzoferrato, a Lama e poi, superata la Maiella madre, da Cingoli a Poggio Marcello, da Montecarotto a Pesaro e poi ancora, instancabilmente, da Montecastellaccio a Brisighella, a Monte Mauro, a Monte della Volpe, al Senio e, tra le primissime truppe liberatrici, all'alba del 21 aprile a Bologna e il 10 maggio del 1945 ad Asiago. Dal 5 dicembre 1943 al 10 maggio 1945, di battaglia in battaglia, essi furono sempre e dovunque primi in ogni prova di audacia e di ardimento. Lungo tutto il cammino, una scia luminosa di abnegazione e di valore ripete e riafferma le gesta più epiche del volontariato italiano. 55 caduti, 131 feriti di cui 26 mutilati, 15 medaglie d'argento, 43 medaglie di bronzo e 144 croci al valor militare testimoniano e rappresentano il tributo offerto dai Patrioti della Maiella alla grande causa della libertà".

Una esperienza realmente rara ed irripetibile, se si pensa a come la Brigata nacque, a come fu formata ed a come operò.

Qualcuno degli astanti ricorderà certamente la sorte particolarissima dell'Abruzzo dopo l’8 settembre 1943: isolamento completo, cessazione dì ogni forma di organizzazione, incertezza, terrore, sofferenze e privazioni crescenti che le depredazioni selvagge dei tedeschi e le devastazioni della guerra spinsero a limiti qualche volta inimmaginabili. Da questa terra bruciata, da queste inaudite sofferenze delle popolazioni dell'alto chietino, dalle prime sporadiche forme di resistenza all'occupante nasce la Brigata: una formazione preminentemente, ma non esclusivamente, di contadini, fondamentalmente apolitica ancorché permeata di sentimenti democratici e repubblicani. Una formazione che operò sempre in fraterno contatto con gli Alleati (specialmente inglesi e polacchi), ma in uno stato di autonomia operativa sia da questi ultimi che dall'esercito regolare dell'Italia monarchica. Dire come questa idea nacque é dire come mai Ettore Troilo quella Brigata formò e si trovò ad esserne il comandante.

Troilo veniva da un passato, insieme, di combattente volontario per la propria Patria nella guerra 1915 1918 e di amante tenace della libertà: una preparazione comune ad altri grandi capi di quello che fu chiamato il secondo Risorgimento d'Italia. Basterebbe ricordare i nomi di Ferruccio Parri, di Sandro Pertini e di Emilio Lussu, valorosi ufficiali al fronte (il terzo una delle rare medaglie d'oro di quella guerra) e guide serene e coraggiose della Resistenza meno di trent'anni dopo, nel periodo dei più grandi pericoli dell'occupazione nazista, quando ardimento e fede non erano di troppo.

Ettore Troilo (traggo questi ricordi da una commovente biografia, scritta per la rivista “Il Ponte” dal figlio Carlo nel 1974, all'indomani della scomparsa del Nostro) era nato a Torricella Peligna il 10 aprile 1898 da un valoroso medico condotto che lo educò a forti principi morali. Perduta la madre a quattordici anni, studia in collegio a Lanciano e a Sulmona e vive le prime esperienze culturali e politiche avvicinandosi d'istinto alle idee socialiste. A sedici anni tiene i primi comizi a Torricella, a Fallascoso, a Montenero parlando della sorte e delle rivendicazioni dei contadini tra l'attonimento degli stessi. Nel novembre del 1916, appena diciottenne, parte volontario per la Grande Guerra e vive da valoroso combattente al fronte le tragedie e le glorie di quegli anni. Il Monte Grappa, in particolare, fu la zona di guerra delle sue maggiori prove di coraggio. Dopo la guerra, laureatosi in legge e aperto un piccolo studio a Milano, ha la seconda esaltante esperienza della sua formazione morale. Conosce Filippo Turati e ne diviene collaboratore. Turati lo presenterà a Giacomo Matteotti ed in Roma Ettore Troilo diventa elemento della segreteria del coraggioso parlamentare socialista fino alla sua tragica morte. Dal 1924 al 1943 Ettore Troilo è impegnato nel lavoro, per la sua professione e per la sua famiglia nel frattempo formatasi, ma mantiene i contatti con “Italia Libera”, la collaborazione al "Mondo", l'aiuto agli esuli e ai condannati politici. Di qui la sorveglianza speciale, la schedatura, le perquisizioni, la discriminazione e le altre difficoltà nella professione, vissute tutte senza esitazioni né compromessi.

Nel settembre 1943, dopo la partecipazione alla difesa di Roma dall'avanzata tedesca, riesce a raggiungere l'Abruzzo; ma arrivato a Torricella vi trova le SS naziste, le retate, le razzie, i fuggiaschi, cui seguiranno il freddo, la fame, i primi eccidi. La macchia porta Troilo e qualche suo compagno alle prime e quasi isolate azioni di resistenza; e poi, evaso arditamente dalla prigionia tedesca, a raggiungere gli alleati e a formare, appunto, tra molte diffidenze iniziali degli stessi e altre difficoltà, la Brigata Maiella. Su di essa e sulle sue gloriose vicende non ritornerò.

Ricordo soltanto che un altro figlio di Ettore, Nicola Troilo, che giovanissimo accompagnò il padre in quella guerra eroica, vi ha consacrato un bellissimo libro, estremamente analitico e documentato (tra l'altro con i nomi e le singole gesta degli altri valorosi) un libro da additarsi come lettura alle giovani generazioni e a tutti gli italiani, anche per conseguire la consapevolezza che la lotta dì resistenza non fu solo quella dei partigiani del Nord. Vi sono inoltre in esso bellissime pagine iniziali, di valore storico e letterario, sulla situazione delle montagne e dei borghi d'Abruzzo nell'ultimo tragico quadrimestre del 1943.

Ma con la presa di Asiago, il 10 maggio 1945, ultima giornata di guerra, l'esperienza politica e patriottica di Ettore Troilo non era ancora finita. Ispettore generale dell'Assistenza post bellica, Troilo si dedica nell'Abruzzo devastato ad alleviare le sofferenze dei suoi conterranei.

Nel gennaio 1946 (epoca ancora di prefetti cosiddetti politici in varie città d'Italia) essendo stato Riccardo Lombardi, prefetto di Milano dal maggio 1945, chiamato a far parte del governo nazionale, viene conferita a Troilo quella delicatissima funzione. Egli affronta così, senza demagogia, con coraggio, equilibrio ed intelligenza, i mille problemi della grande città di Milano (fabbriche chiuse, disoccupazione, distruzioni, anche banditismo) mediando le esigenze delle forze economiche, affrontando i molti problemi di quella popolazione, che ha in lui stima crescente, e facendosene interprete presso il governo centrale. Lo vediamo in quegli anni più di una volta ritratto accanto al Sindaco della Liberazione, un altro stimatissimo avvocato e poi più volte deputato, uomo di grande fede e di luminosa bontà, Antonio Greppi.

Alla fine del 1947 il mutato clima politico porta alla sostituzione di prefetti non graditi al governo centrale e anche di Troilo viene decisa la sostituzione. Intorno a questo fatto si determina una rivolta popolare e sindacale, ma Troilo, da democratico autentico, evita lo scontro e cede, contribuendo a sedare la rivolta e a placare gli animi.

 


 

Rifiutata la carica di ministro plenipotenziario presso l'ONU, cosi come poi declinerà gli incarichi di alta responsabilità offertigli da industriali milanesi in cambio di una sua neutralità nelle battaglie politiche e infine nel 1948, primo dei non eletti, la proposta del partito comunista di subentrare in Parlamento a uno di loro, Ettore Troilo torna, dopo tante esperienze, alla sua professione, tutto ricominciando da capo, senza mezzi e senza certezze, ormai cinquantenne.

E quello che segue, in Roma, fino alla morte, é in fondo il periodo più nobile, e certo altrettanto autentico, della vita di Ettore Troilo, esempio di disinteresse e di nobile dedizione alle più genuine vocazioni umane.

Rimane, certo, nel suo partito ed é per tutti gli amanti della democrazia un punto d'incontro e di riferimento; ma la politica attiva é messa oramai da parte. Resta fulgido l'esempio di quest'uomo della Resistenza, che ha saputo mostrare in ogni tempo la via del dovere liberamente scelta e con assoluta purezza seguita.

Questo, con Ignazio Silone, l'altro grande figlio di questa terra d'Abruzzo che la città de L'Aquila oggi giustamente onora intitolando una via cittadina al suo nome. Possa anche il suo esempio luminoso continuare ad essere coltivato dalle generazioni più giovani, che non sempre sanno, e da tutti noi, che qualche volta dimentichiamo. E l'Italia democratica e repubblicana, oltre che alle proprie manchevolezze, ai propri errori e agli egoismi di singoli e di gruppi, rivolga il proprio sguardo più in alto, agli uomini degnissimi dai quali è nata. Così, cittadini de L'Aquila, potremo continuare a ricordare e a celebrare a testa alta il 25 aprile.