CARRI CRESCENTINO Stampa

 

 

A distanza di molti anni dalla grave perdita del compianto Vittorio Travaglini, Aiutante Maggiore del Gruppo Patrioti della Maiella, avvenuta in Torricella Peligna, un altro crudele lutto ha colpito nei giorni scorsi la già ridotta compagine della nostra “Maiella” e la notizia si è diffusa con indicibile e profonda tristezza fra i patrioti superstiti e la gente del nostro Abruzzo: Crescentino Carri, il maggiore medico dirigente del servizio sanitario del Gruppo, non è più! Si è spento l’11 febbraio scorso, alle ore 24, nella clinica Villa Sole in Napoli per complicazioni insorte a seguito di intervento chirurgico.

     Dire compiutamente di Crescentino Carri e di ciò che egli rappresentò nella grande famiglia della “Maiella” non è compito facile né è questa la sede adatta per una adeguata rievocazione.

     Desidero, tuttavia, qui ricordare due momenti e due atteggiamenti assai significativi che basterebbero da soli a testimoniare quali furono i vincoli di attaccamento e di fedeltà di Crescentino Carri alla Maiella.

     Quando ai primi di dicembre del 1943, dal fiume Sangro lanciai ai miei conterranei l’appello per resistere e combattere contro la barbarie tedesca che andava disseminando distruzione e morte fra l’inerme popolazione del nostro Abruzzo, Crescentino Carri rispose tra i primissimi al mio appello e, pur essendo non più giovane (egli aveva allora 43 anni!) e di dichiarata fede monarchica, comprese subito i superiori valori ideali della nostra lotta, che ebbe, quale principale miraggio, quello di concorrere, al di sopra di ogni passione e divisione politica, al riscatto dell’onore e della libertà della Patria, e mi offrì, con entusiasmo e senza alcuna riserva, la sua collaborazione che doveva poi rivelarsi, sotto ogni aspetto, preziosa.

E quando il 16 Novembre 1963, a distanza di circa venti anni, gli comunicai che si era conclusa vittoriosamente la lunga e dolente lotta da me sostenuta e che alla bandiera della “Maiella” era stata conferita la medaglia d’oro al  valor militare, così egli il giorno stesso mi telegrafò: «Vostra notizia mi commuove e mi esalta. A nome dei morti e dei vivi nostra eroica ”Maiella” vi esprimo mia commossa, affettuosa gratitudine e vi abbraccio».

     Posso dire, senza ombra di retorica, che a questi nobili sentimenti fu ispirata tutta l’appassionata e mirabile opera che il nostro Crescentino Carri iniziò a Casoli nel dicembre del 1943 e proseguì, ininterrottamente, per anni e anni dopo lo scioglimento del gruppo e in stretta e fraterna collaborazione con Vittorio Travaglini. E fu opera anch’essa altamente patriottica e umanitaria perché volta ad assistere e confortare non soltanto i reduci e i familiari della “Maiella”, ma tutta la povera gente del nostro Abruzzo atrocemente colpita dalle distruzioni immani della guerra.

     Durante tale insonne e generosa attività si verificò, sulla strada Lama-Taranta, un luttuoso incidente automobilistico. L’ambulanza della “Maiella” condotta dal patriota Nicola Di Luzio e con a bordo Crescentino Carri e altri due patrioti addetti al servizio sanitario, precipitò nella scarpata. In detto incidente perse la vita il caro Nicola Di Luzio e Crescentino Carri riportò ferite talmente gravi agli arti inferiori che gli causarono, dopo lunga degenza all’Istituto Rizzoli di Bologna e sofferenze che lo afflissero per anni, la invalidità permanente.

     E mi sembra ancora oggi di vederlo accorrere col suo bonario sorriso sulle labbra, nonostante la menomazione fisica, ove maggiori erano il disagio e la sofferenza, animato e sorretto sempre da quella stessa fede e da quello stesso entusiasmo che caratterizzarono la sua nobile fatica.

     E la sua inconfondibile immagine è talmente impressa nella mia mente e nel mio cuore che, alle volte, penso che la tristissima notizia datami nei giorni scorsi sia stata soltanto l’incubo di un terribile sogno e stento a credere che egli non sia più tra noi.

     Addio, mio caro Crescentino, indimenticabile amico e compagno di tante lotte! In quella stessa terra che tu amasti e difendesti perché i suoi figli fossero restituiti a libertà e le cui zolle ricoprono oggi il tuo esanime corpo, a ridosso del tuo paese e alle falde della Majella, sorgerà, spero prossimamente, il cimitero del gruppo ove saranno traslati i resti mortali dei 55 eroici caduti, tutti a te noti. Nel sonno eterno essi torneranno ad esserti vicinissimi, come lo furono in vita, durante la lotta gloriosa, e noi superstiti verremo ad inchinarci sulle vostre tombe per esprimervi, ancora una volta, il nostro inconsolabile rimpianto e la nostra commossa ed infinita gratitudine.


Crescentino Carri medico e patriota

Su «LA VOCE DI CASOLI» di Marzo 1967 anno VI N.3 Germano Pasquale scrive:

 

La missione professionale del Dottor Crescentino Carri, medico condotto di Taranta Peligna, G.U., medaglia d’Argento al V.M. si è fermata bruscamente.

Dopo quarant’anni vissuti lodevolmente e disinteressatamente fra la generosa gente tarantolese se n’è andata nella maniera più sconcertante.

A guardarlo ed a parlare con lui sembrava che non dovesse mai morire.

Pessimista non lo era, però in quel pomeriggio del gennaio scorso nel salire sulla bianca ambulanza, ai pochi intimi di famiglia presenti ebbe a dire: «Spero tanto tornare presto tra voi, ma questa volta …»

I tarantolesi non vollero dare reale valore al triste presagio di quelle parole e le giustificarono pensando che esse fossero state causate da un più violento attacco del male che lo aveva raggiunto.

Neppure il suo trasferimento dall’Ospedale di Pescara ad uno di Napoli fu sufficiente a far mutare nei suoi affezionati concittadini la speranzosa convinzione che tutto si sarebbe risolto nella migliore delle maniere, e subito. Ma era scritto …! 

E così il Dottore umano e buono se ne andò lontano dal suo popolo, fuori dalla sua Taranta, distante dal vertiginoso Aventino, che spesso, nelle serate lunari, contemplava dal balcone di casa, affidando forse, a quelle tumultuose acque i suoi pensieri e i suoi progetti.

La ferale notizia si sparse in un baleno anche nei paesi vicini e lontani provocando enorme sorpresa.

Per i Tarantolesi fu motivo prima di incredulità, poi di cordoglio e di costernazione. Ad essi non restava che raccogliere la bara del caro Don Crescentino, così come ritornava da Napoli.

Mancò il tempo materiale per una accurata preparazione, ma supplì la spontaneità di tutti; quello che la forza della riconoscenza sa e può dare in qualsiasi caso ha veramente del prodigioso. Nessuno ebbe tempo per predisporre e organizzare, ma tutti, dagli amministratori all’ultimo cittadino, pensarono a quel che si poteva e si doveva fare; e così tutto riuscì bene, come se a dirigere e coordinare ci fosse stata una sola mente organizzativa.

«Attraversasti quasi tutto il tuo paese, caro Don Crescentino, tra una folla muta ed attonita, in lacrime. Pur dalla tua bara ti fu possibile vedere che non c’era ciglio che per te non versasse una lacrima e che una di esse fosse insincera.

Che quelle lacrime ti siano di giovamento al cospetto dell’Altissimo e ti propizino la sua immensa misericordia;  che esse siano un balsamo per la tua anima ed un cristiano conforto per le tue affrante sorelle, per gli straziati fratelli e per quant’altri ti ebbero fortemente caro.

Possano altresì le cose dette di te dai tuoi amici e dal manifesto dell’Amministrazione Comunale essere un viatico salutare alla tua anima volata lassù, fra le cose belle, più vere, perché eterne».