Natale 1944 Stampa

Il 24 dicembre 1944 i Patrioti della Maiella lasciano Brisighella, diretti a Modigliana, per un periodo di avvicendamento.  Sono laceri, sporchi, debilitati. I cittadini di Brisighella, non sono entusiasti del trasferimento; temono l’arresto della linea del fronte e ciò, infatti, si verificherà.

Si viaggia sui cassoni dei camion che, fra neve e impantanamenti nel fango, faticano a raggiungere la meta.  Si procede slittando, a volte spingendo, spalando fango, zeppando le ruote, spalando la neve che continua a cadere copiosa.

L’arrivo a Modigliana riserva la sorpresa che non sono stati approntati ricoveri per i maiellini.  I cassoni dei camion, stipati di uomini e mezzi, servono anche da ricovero per la notte.               (N.d.r.)

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“Era comunque Natale ed eravamo contenti se non altro di essere ancora vivi. Pensavo alla mia famiglia, a mia madre e alle mie sorelle, specialmente alla più piccola. Mi faceva una grande tenerezza, aveva solo poco più di tre anni.

Non avevamo una caserma dove essere alloggiati. Eravamo ospitati,  a gruppi di due o tre, presso famiglie. Ci organizzammo, mettendo in comune le nostre razioni con il loro cibo, come se fossimo un’unica famiglia, quella famiglia che mancava a tutti noi.

Subito dopo il natale, a Modigliana arrivarono i polacchi con una speciale attrezzatura per la doccia e gli strumenti per la sterilizzazione dei nostri indumenti.

Ci riunirono nei locali di una scuola elementare e ci dissero di fare un pacco con gli abiti, segnandoci sopra il nostro nome, perché, dopo la sterilizzazione, li avremmo indossati di nuovo.

 

Finalmente, potemmo lavarci, fare la doccia: fu una sensazione piacevolissima. Poi, in una stanza attigua, alcuni infermieri, armati di grossi contenitori pieni di disinfettante contro la scabbia e di pennelli da imbianchino, ci spennellarono tutto il corpo.

In un’altra stanza ci potemmo asciugare al calore di alcuni bruciatori. Infine, ci cosparsero la testa e tutti i peli del corpo con una polvere bianca contro i pidocchi, di cui eravamo ricchissimi. Poi, ci restituirono i vestiti sterilizzati. Dopo quarantotto ore, facemmo di nuovo la doccia e scomparve finalmente ogni traccia di sporco e ci liberammo dell’ultimo ostinato pidocchio”.

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“La sera, a cena, nella famiglia che ci ospitava, i due partigiani che alloggiavano con me mi dissero: “Non hai ancora quindici anni e te ne stavi zitto zitto senza dir niente!”.

Il loro tono di voce denotava meraviglia e una trattenuta ammirazione. Ma la cosa che più mi colpì fu la benevolenza della signora che ci ospitava. Era un’anziana donna dallo sguardo profondo. Distinta nell’aspetto, appariva provata dalle ristrettezze di quell’infausto periodo.

Vestiva dimessamente e portava i capelli raccolti all’indietro.

Nonostante gli anni, traspariva dal suo volto una bellezza antica, un passato di vigore e di esuberanza. Mise fra le mie coperte uno scaldaletto e quando mi recai da lei per ringraziarla della gradita sorpresa, mi disse: “Io non ho figli, ma, se ne avessi uno, vorrei che fosse come te.” Dopo tanti anni ho ancora nella mente e nel cuore la sua voce ferma e la sua espressione mentre tutt’intorno era ferocia e odio.”­­