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Accumoli-Amatrice: 1944/2016 PDF Stampa E-mail
Lunedì 29 Agosto 2016 23:25

La terra trema. La terribile onda d’urto che ha investito il centro Italia, quasi certamente, continuerà  a seminare terrore e distruzione.

Per chi ha avuto modo di vivere l’esperienza del terremoto, le parole sono inutili.

Nel 1927, nasceva la provincia di Rieti; i comuni di Accumoli e Amatrice, già in provincia dell’Aquila, aprono l’elenco (in ordine alfabetico) delle nuove pertinenze territoriali.

Negli anni recenti, la presunta scarsa attenzione verso le esigenze del territorio ha prodotto ondate secessioniste e movimenti di protesta. Ciò detto, non intendo addentrarmi nei meandri della gestione socio-economica delle zone economicamente depresse, ma semplicemente notare che i disastri che colpiscono territori non particolarmente ricchi, pesano più che altrove.

Avendo già avuto modo di occuparmi del territorio, caro alla memoria dei nostri “Patrioti della Maiella”,  ripropongo uno stralcio.

M.D.


 

 

Agli amici dei territori colpiti dal sisma, esprimiamo i sensi della nostra partecipazione ai loro lutti e il nostro fraterno affetto.

 

 

 

 

 


Abstract da: IL CASTIGATORE DI PIAZZA GARIBALDI (già Piazza Maggiore) Sulmona

di Antonio Bonitatibus

[...]    La Banda si riorganizzò a Sulmona contando il numero di circa trecento volontari, e forte di questa consistenza espresse al comando alleato la volontà comune di combattere al loro fianco per contribuire a cacciare dall’Italia i tedeschi che intanto si ritiravano dall’Abruzzo. La richiesta fu accettata (20 giugno): poi, arrivarono i camion alleati, caricarono tutta la Banda per trasferirla a ridosso dell’esercito tedesco. Prima tappa a L’Aquila (21 giugno), seconda ad Amatrice (22 giugno), terza ad Accumoli (23 giugno) in provincia di Rieti: eravamo ormai a ridosso dell’esercito tedesco.


L’indomani (24 giugno) il Comando della Banda chiese al nostro plotone 4 volontari per andare a esplorare l’abitato di Illica, frazione di Accumoli, 300 abitanti circa, posta a mezza costa della montagna, così come è messa, più o meno, Roccacasale, per verificare e riferire se era tenuta ancora dai tedeschi o no. Rispondemmo all’appello io, Tonino Pacella, Tonino Del Monte ed Enzo Di Berardo.Partenza di buon’ora (25 giugno) armati di tutto punto, una piccola colazione e via, c’incamminammo per gli anfratti e piccoli sentieri da capra. Dopo quasi due ore di marcia ci fermammo una ventina di minuti, per fare il punto della situazione ed anche per riposarci un po’. Ripreso il cammino, ormai in vista delle prime case, guardinghi cominciammo a sentire rumori e dei suoni di banda. Pensando alla ritirata dei tedeschi, insospettiti ci infilammo nei primi vicoli e nascondendoci dietro ogni angolo di casa pian piano arrivammo in una delle prime strade del paese e con grande meraviglia scoprimmo che si trattava di una processione preceduta da una piccola banda musicale. Rincuorati, ci avvicinammo alla gente chiedendo le prime notizie che cercavamo. La frazione era libera e la gente festeggiava Sant’Antonio per l’avvenuta liberazione. Intanto giunse la processione, la statua era portata a spalle da quattro donne perché la maggior parte degli uomini erano ancora nascosti in montagna e gli anziani e ragazzini avevano organizzato la festa. Tirammo un sospiro di sollievo. Ma eravamo ragazzi anche noi, per giunta tre di noi si chiamavano Antonio, così dopo una veloce consultazione decidemmo di prendere noi a spalla la statua e alla nostra richiesta le quattro donne ne furono liete ed anche il prete della parrocchia ne fu contento, fu così che proseguimmo la processione per tutte le stradine del centro abitato della frazione fino alla chiesa dove rientrammo la statua di Sant’Antonio.

 


Depositata la statua, ci fu una ressa di persone intorno a noi, tutti a fare domande “chi siete? Perché vi trovate qui?” noi spiegammo loro tutta la storia e questi, entusiasti, fecero a gara per invitarci a pranzo, così fu che ci dividemmo, ospitati in quattro case diverse, non prima di fissarci un appuntamento alle quattordici nella piazzetta del paese per poi rientrare tutti e quattro ad Accumoli.
All’ora prestabilita, trovammo nella piazzetta Enzo Di Bernardo, arrivato prima di noi e in piedi su una sedia, parlava ai paesani della guerra che ormai per loro era finita e che tutti quelli che possedevano armi in casa, dovevano consegnarle a noi. Nel giro di mezz’ora ci furono portate armi di tutti i tipi, vecchie e nuove, munizioni e baionette, fucili, moschetti ecc. Sorse subito il problema come portarle a valle, allora chiedemmo dei volontari che subito si attivarono nel mettere tutto dentro dei sacchi di iuta e ci seguirono per consegnare tutto al nostro comando. Quando fummo ad Accumoli, ci trovammo di fronte ad una sorpresa: La Banda Patrioti della Maiella non c’era più, gli alleati l’avevano caricata su dei camion per altra destinazione. Pensammo di consegnare tutto alla caserma dei carabinieri ai quali chiedemmo se avessero notizie della Banda, ma loro risposero di no, nessuna notizia ci fu data anche perché la caserma era in funzioni ridottissime, restavano solo alcuni volontari. Loro presero in consegna le armi senza alcun pregiudizio. Congedati i paesani di Illica, che tornarono alle loro case, restammo seduti su di un muretto a cercare una soluzione prima di tutto come e dove passare la notte e poi sapere dove e come raggiungere la Banda. A questo punto mi venne di fare una breve riflessione ad alta voce, “E mo che facciamo? Se non ci fossimo fatti intenerire da quella processione saremmo rientrati in orario”. A questa esclamazione Tonino Del Monte soggiunge “A vedere quelle quattro donne con quel peso della statua sulle spalle era doveroso farlo noi”. L’iniziativa trovò quindi una plausibile giustificazione.

Mentre parlavamo di queste cose, vedemmo venire verso di noi un contadino che concitato ci chiese se potevamo dargli una mano perché gli era caduto l’asino nella cisterna del vino; di corsa andammo nella stalla del contadino che si trovava lì vicino, l’asino nel rientrare nella stalla, aveva messo le zampe anteriori sul coperchio della botola della cisterna che forse perché era vecchio, si sfondò e fece precipitare l’asino, con tutta la parte anteriore, nella cisterna. Quando arrivammo noi aveva solo le zampe posteriori fuori dalla botola così tutti e cinque, chi tirava dalla coda chi dalle zampe, non fu facile estrarlo da quella posizione, però alla fine lo tirammo fuori. Il contadino non sapeva come ricompensarci, ma noi avevamo il problema come passare la notte e come mangiare qualche cosa. Lui capì subito la situazione e si adoperò. Di lì a poco tornò con quattro coperte ed un pezzo di pane e ci disse: ”Vedete quel fabbricato rustico, è un magazzino per la stagionatura del formaggio, questa notte potete dormire lì, ho parlato con il proprietario mio amico, potete mangiare tutto il formaggio che volete”; non parliamo dei topi che abitavano nel magazzino!!!.

L’indomani mattina (26 giugno) ecco arrivare il proprietario, sapeva tutto, si fermò a parlare un po’ con noi e nel congedarci ci regalò un formaggio a testa del peso di circa due chilogrammi.
Intanto decidemmo di incamminarci alla ricerca della Banda, per l’unica strada da prendere per Ascoli Piceno, distante 38 km circa. Strada facendo pensavamo di chiedere notizie a qualcuno, ma dov’era la gente? Intanto al peso di armi e zaino che si faceva sentire, si era aggiunto anche quello del formaggio che bisognava portare in mano per evitare che si appiccicasse con le robe dentro lo zaino, quindi costituiva un sacrificio portarselo dietro.

Strada facendo sbucò da un viottolo una contadina, con un cesto in testa, alla quale chiedemmo tutte le notizie che ci riguardavano con risultato del tutto negativo. Ci liberammo di un formaggio che accettò con molto piacere, e così camminando di buon passo verso le 9 giungemmo ad Arquata del Tronto. Breve sosta per colazione e poi di nuovo in marcia.

Non passava anima viva. Erano quasi le undici quando un rombo di motore ci giunse alle spalle, ci voltammo, era un camioncino di quelli con il pianale scoperto e appena ci giunse vicino lo fermammo per sapere notizie dei nostri ma la risposta fu negativa. Poiché il cassone era libero da cose, chiedemmo al proprietario di prenderci su e accettò subito precisando che il suo percorso non arrivava ad Ascoli Piceno ma deviava qualche km prima; fu una manna. Quando si fermò a 5 km da Ascoli, gli regalammo due dei nostri formaggi e ne fu talmente contento che non finiva mai di ringraziarci.

 

 

Verso mezzogiorno giungemmo ad Ascoli, la città era stata liberata il giorno prima dai nostri bersaglieri ma della Banda della Maiella nessuna notizia. Qualcuno ci disse di andare in comune dove si era insediato il comando del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale), ci presentammo e ci facemmo riconoscere esibendo i nostri tesserini di appartenenza alla Banda. Chiedemmo loro del nostro gruppo ma anche loro non furono in grado di darci notizie.

Intanto la fame si faceva sentire, chiedemmo loro come potevamo fare per mangiare, così il capo ci diede dei buoni pasto da consumare presso una trattoria di Ascoli Piceno.       [...]

                                                                                                                      Antonio Bonitatibus

                                                                                                                 già “Patriota della Maiella”

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