L’ultimo testimone del “Sentiero della libertà” Stampa

Ero andato a trovarlo nella sua casa a Bugnara. Mario Colangelo era l’ultimo testimone, insieme a Carlo Azeglio Ciampi, di quelle epiche traversate che, superato il massiccio della Maiella, raggiungevano le terre della speranza, le terre liberate dagli Alleati. Il suo gruppo partì l’11 marzo del 1944, tredici giorni prima del gruppo di Ciampi e del suo amico sulmonese Carlo Autiero. Mario era un bracciante di 18 anni.

 

Mi dice, ancora dispiaciuto, che avrebbe voluto incontrare il Presidente Ciampi quando questi, il 17 maggio 2001, tornò a Sulmona, accolto da una piazza festosa, per la prima rievocazione de “Il sentiero della libertà”. Ma, invece che in piazza, si ritrovò in ospedale per un ictus che maledettamente lo aveva colpito proprio il giorno prima. Mi racconta che i fascisti e i tedeschi la facevano da padroni in paese. Requisivano animali e mezzi, svaligiavano case, insidiavano le donne. L’unica autorità positiva era il parroco, Don Francesco De Pamphilis, detto Don Ciccio. Faceva quello che poteva per contenere la brutalità degli occupanti. Anche se cappellano centurione della Milizia fascista, partecipava all’organizzazione delle traversate della Maiella, tanto che verrà arrestato dai tedeschi Una volta persino in canonica ci fu un’ incursione dei tedeschi e il parroco ebbe la prontezza di farli uscire precipitosamente da una porta secondaria. Mario si appassiona nel ricordare quei tempi terribili. Voleva fuggire dai rastrellamenti, dalla fame, sperava di trovare nelle terre liberate una possibilità di vita e di lavoro in pace. Partirono che erano un piccolo gruppo, ma lungo la strada se ne aggiunsero altri. Tanti. Quando presero a salire la montagna, erano due-trecento. Lui era con il gruppo dei paesani, ma seppe che c’erano anche prigionieri alleati fuggiaschi. Li accompagnava una delle guide più attive di quelle spedizioni avventurose, Domenico Silvestri di Cantone (cfr. “Spaghetti e filo spinato”, trad. Liceo scientifico Era sera, intorno alle 20, quando nel buio, nel più assoluto silenzio, lasciarono il paese. Si avviarono verso la contrada Mastroiacovo. Sotto Pacentro presero a salire in fila indiana. Si parlava poco, ognuno era chiuso nei suoi pensieri. E, poi, bisognava risparmiare energie. Erano diretti a Fara S.Martino. In montagna trovarono la neve, ma non era alta. Il problema fu la nebbia, molto fitta. Non sa ancora spiegarsi perché non riuscirono a raggiungere Fara. Forse la guida si smarrì per la nebbia e il buio e per la neve che aveva preso a fioccare. Loro seguivano gli altri, ombre, fantasmi muti nel gelo della montagna. Finirono per scendere molto prima di Fara, per il vallone che porta a Lettopalena. Attraverso la nebbia, intravidero ai lati del vallone postazioni tedesche. Erano in trappola. Erano finiti nelle mani del nemico. Il silenzio si fece glaciale. Anche da parte tedesca. Che fare? Ormai non potevano che scendere. Raggiunsero la strada e guadarono il fiume Aventino. Presero a salire per Lettopalena. Anche qui altre postazioni nemiche. Quando, proprio sotto Lettopalena, raggiunsero dei grandi massi, si scatenò l’inferno. I tedeschi iniziarono a sparare da ogni lato con le mitragliatrici. Chi scappava, chi si riparava dietro i massi, chi, armato, rispose al fuoco. Molti saltarono sulle mine. All’inferno tedesco si aggiunse il fuoco incrociato degli inglesi, nelle vicinanze. Chi può dire il numero dei morti e dei feriti? Mario si salvò riparandosi dietro una roccia. Ma fu fatto prigioniero. Nel tardo pomeriggio del 12 marzo, dopo oltre venti ore dalla partenza, era con un centinaio di prigionieri, in una grande stanza, a Palena. I tedeschi li mettono in riga e li contano. Uno ogni dieci viene fatto uscire dalla riga. E’ il terrore. È la decimazione. Per fortuna, sono solo dei sadici che si divertono a terrorizzarli. Ora sono in marcia. Nello stomaco solo un tozzo di quel duro pane tedesco. Attraverso la Forchetta di Palena, raggiungono Rocca Pia, dove restano una notte. Ma la destinazione è il campo di concentramento di Fonte d’Amore, a Sulmona. Vi resteranno una settimana. Poi alle carceri giudiziarie di S. Agostino di Teramo. Qui, sono prigionieri anche i sulmonesi Mario Scocco, Alfredo Guadagnoli, Amedeo Liberatore, i fratelli Madrigale, Vincenzo Celeste, Gino Ranalli, Giuseppe D’Antini e altri antifascisti. Vi passano tre mesi. Finalmente, le cose vanno sempre peggio per i tedeschi. Devono abbandonare la linea Gustav per l’ultima resistenza sulla linea Gotica, più a nord. Ora come sorci che lasciano la nave che affonda, le guardie fasciste fuggono e fanno fuggire i prigionieri. Ma l’avventura di Mario e compagni non è finita. Da Teramo fino a Montorio al Vomano, di collina in collina, trovano presìdi partigiani, ma la loro assistenza e protezione se la devono guadagnare superando la loro diffidenza. I contadini non negano un pezzo di pane. Uno lo salva da una pattuglia tedesca passandogli prontamente una falce per farlo apparire un tranquillo lavoratore. Dall’alto delle colline vedono carovane e carovane di camion tedeschi in ritirata. A Popoli, un incontro gli allarga il cuore: i camion dei bersaglieri e su uno di questi il compaesano Pasquale Ormai è a casa. È salvo. Ancora una ventina di chilometri. Una passeggiata.

 

Da un articolo di Ezio Pelino